Nuovo caso di greenwashing nel settore del fast fashion. Per chi ancora non avesse dimestichezza con il termine, greenwashing é un termine inglese utilizzato per riferirsi all’ecologismo ‘di facciata’, ovvero quell’ecologismo che le aziende millantano di praticare anche quando non è del tutto veritiero.
Il recente caso di greenwashing si riferisce a H&M: invece di effettuare un’inversione di marcia nel proprio modello di produzione per soddisfare le aspettative dei clienti in termini di impegno per il cambio climatico, l’azienda avrebbe scelto di dichiarare in modo fuorviante e falso l’impatto ambientale dei suoi capi. Sostanzialmente, H&M ha utilizzato il contestato indice Higg Materials Sustainability Index (MSI), senza aver valutato l’intero ciclo di vita dei capi né specificando appropriatamente sulle etichette.
Il colosso svedese è la seconda azienda di abbigliamento al mondo per volume di vendite, con oltre 3 miliardi di capi prodotti ogni anno, la quale si è impegnata a combattere il cambiamento climatico dimezzando le proprie emissioni entro il 2030. Più recentemente, ha incorporato etichette nei suoi capi che specificano l’impatto della sua produzione attraverso l’uso dell’MSI.
Dei 600 capi con queste etichette apparse sul sito web di H&M, nel Regno Unito, la scorsa settimana, 100 di queste includevano errori o informazioni false, che portavano a ritenere che i capi fossero più sostenibili. In uno di essi, ad esempio, si diceva che un abito consumava il 20% in meno di acqua quando in realtà il punteggio era -20%, cioè la sua produzione richiedeva il 20% in più di acqua rispetto alla media. Gli attivisti per il clima non sono gli unici a mettere in dubbio la validità dell’Higg Materials Sustainability Index. Recentemente le autorità norvegesi per i consumatori (NCA) ha avvertito H&M che per evitare “marketing ingannevole” dovrebbe smettere di utilizzare questo strumento a sostegno delle sue affermazioni ambientali. Nel caso in cui questo non accadesse entro il 1 settembre 2022, l’azienda potrebbe essere multata finanziariamente.
In conseguenza di tutto ciò, il SAC – che annovera tra i suoi 250 membri la stessa H&M, Nike, Primark, Walmart, Boohoo e Tommy Hilfiger – ha deciso di “sospendere” il proprio strumento di etichettatura per effettuare “una revisione indipendente dei dati e di come viene compilato da tutte le aziende che lo utilizzano.
Anche Coca-Cola é stata da poco accusata di greenwashing: la Foundation for Market Change ha accusato numerose aziende che affermano di utilizzare plastica “dell’oceano” o “riciclabile” per ridurre la propria impronta ambientale di nascondere il reale impatto della plastica ai consumatori.
Secondo il rapporto redatto da questa organizzazione, queste affermazioni non sono supportate da dati che dettagliano l’effetto dei loro prodotti sulla crisi dei rifiuti di plastica: nel caso di Coca-Cola, l’azienda ha speso milioni per la campagna promozionale delle sue bottiglie prodotte con il 25% di plastica marina.
Quello che non menziona però é che l’azienda è il più grande inquinatore di plastica del mondo.
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