Cosa sono e come funzionano i paradisi fiscali

paradisi fiscali
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Cosa sono i paradisi fiscali e quanto costano all’economia globale ?Dare una definizione di paradiso fiscale non è sicuramente facile.

Cosa sono i paradisi fiscali?

Per semplificare al massimo, potremmo definirli come delle “oasi” che offrono ad aziende e privati un modo per non pagare le tasse, ma la loro funzione non si esaurisce lì. Essi infatti, offrono anche anonimato, regole finanziarie di favore e un’opportunità per sfuggire alle leggi della maggior parte dei paesi del mondo.

L’economia di queste nazioni, spesso Stati molto piccoli, anche con poche migliaia di abitanti, è basata proprio su questo: le aziende e i capitali che arrivano da tutto il mondo sono alla base della loro economia e attrarre questi fondi è il loro modello di sviluppo principale.

La promessa di segretezza è ovviamente una caratteristica fondamentale dei paradisi fiscali. Queste nazioni offrono i propri servizi ad entità estere e utilizzano la propria autonomia giurisdizionale per promulgare leggi che esentano dal dover pubblicare informazioni riguardo alle proprie attività.

I paradisi fiscali, di fatto, falsificano i flussi finanziari globali per permettere alle aziende private di non pagare le tasse e aggirare le leggi. Questa manipolazione è resa possibile dalla complessità delle catene commerciali globali

Come funzionano i paradisi fiscali?

Se per esempio un’azienda si occupa dell’esportazione di una materia prima da un Paese africano all’Italia, la collocazione di costi e profitti dovrebbe essere abbastanza semplice. L’estrazione o l’acquisto avviene nel paese d’origine del bene, in questo luogo, l’azienda sostiene dei costi legati all’approvvigionamento della materia prima.

Dopo di che la merce viene esportata e venduta al prezzo di mercato sul mercato italiano, generando un profitto. La tassazione, in questo caso, dovrebbe essere ripartita tra il Paese esportatore e il Paese importatore.

Ma mettiamo caso che l’azienda decida di costituire la sua sede legale alle isole Cayman, dove sostiene di avere la propria direzione aziendale. Sulla carta l’acquisto della materia prima viene eseguito dall’azienda delle isole Cayman, che è la stessa che poi dichiara il profitto realizzato. In questo modo l’azienda può realizzare enormi profitti, senza virtualmente pagare nessuna tassa o imposta né al paese importatore né al paese esportare (a differenza di quanto si crede una delle caratteristiche principali dei paradisi fiscali è quella di creare danni non solo ai paesi sviluppati, ma anche a quelli in via di sviluppo).

Proprio per la propria natura discreta, i paradisi fiscali sono riusciti nell’intento di far sottostimare all’opinione pubblica il proprio ruolo nell’economia globale. Questi, infatti, erano generalmente visti come luoghi esotici, isole caraibiche o fortezze finanziarie alpine frequentate da élite che devono nascondere antichi patrimoni.

Tuttavia, il fenomeno è molto più centrale di quanto la maggior parte della gente pensi e riguarda la maggior parte delle grandi aziende multinazionali.

Quanto “costano” i paradisi fiscali all’economia

Secondo i dati riportati dal Fondo Monetario Internazionale, i paradisi fiscali costano collettivamente ai governi tra i 500 e i 600 miliardi di dollari l’anno di mancate entrate fiscali societarie, a seconda della stima (Crivelli, de Mooij e Keen 2015; Cobham e Janský 2018).

Di queste entrate perse, le economie a basso reddito possono denunciare un ammanco di 200 miliardi di dollari, una cifra in percentuale del PIL maggiore rispetto alle economie avanzate e superiore ai 150 miliardi di dollari circa che ricevono ogni anno per lo sviluppo.

Basti pensare che le sole società americane Fortune 500 detenevano circa 2,6 trilioni di dollari offshore nel 2017, anche se una piccola parte di questi è stata rimpatriata a seguito delle riforme fiscali statunitensi nel 2018.

Le aziende però, non sono gli unici beneficiari. Gli individui privati, infatti, hanno nascosto 8,7 trilioni di dollari nei paradisi fiscali, secondo la stima di Gabriel Zucman (2017), economista dell’Università della California a Berkeley. Alcune analisi arrivano a stimare la ricchezza dei privati fino a 36.000 miliardi di dollari.

Come regola generale, più ricco è l’individuo e più grande è la multinazionale – alcune hanno centinaia di filiali offshore – più l’accesso al canal offshore diventa semplice.

Anche i governi hanno un loro interesse; la maggior parte dei principali paradisi si trova nelle economie avanzate o nei loro territori. Ci sono per esempio i territori britannici d’oltremare come le Isole Vergini britanniche, Bermuda e Isole Cayman. O stati americani a legislazione speciale come il Delaware o il Lussemburgo, stato fondatore dell’Unione Europea.

Queste giurisdizioni permettono un afflusso di capitali semplice verso le capitali finanziarie mondiali: avere la liquidità bloccata alle Cayman non è come averla su un conto bancario tedesco o britannico. Enormi quantità di denaro, di provenienza anche illecita o comunque non controllabile, possono confluire nelle piazze finanziarie di Londra e New York attraverso questi territori.

Molto spesso si tratta di risorse delle élite dei Paesi in via di sviluppo, che vengono quindi di fatto depauperati (i soldi entrano nel Paese attraverso anche gli aiuti internazionali o la vendita delle materie prime, le élite locali se ne impossessano e tornano nei paesi occidentali dalla porta sul retro).

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