Perdere soldi fa male. Guadagnare 1000 euro infatti può rendere felice molte persone però perderne altrettanti può provocare un emozione più intensa rispetto all’emozione provata durante il guadagno degli stessi.
Questo esempio ce lo conferma Arman Eshraghi, professore in Finance and Investment presso la Cardiff Business School, spiegando quanto appena descritto grazie ai risultati ottenuti dal suo esperimento.
Come reagisce il cervello ai soldi?
Per spiegare tale risultato, il professore Eshraghi, ha dovuto collegare degli elettrodi al cervello di diversi ‘candidati’: ad alcuni ha regalato 1000 dollari, mentre ad altri, glieli ‘ha detratti’. Ebbene, il risultato ottenuto dalla risonanze magnetiche è sorprendente. L’emozione provata da tali persone sembrerebbe molto più intensa per quelle che hanno perso i 1000 dollari, rispetto a quelli che li hanno guadagnati. A livello cerebrale, sono state quindi stimolate maggiormente le zone associate alle emozioni negative rispetto a quelle attivate dei centri del piacere (stimolate dal guadagno, in questo caso).
Nel passato, è stato il ‘settore medico’ ad essere maggiormente attento e ad aver svolto il maggior numero di studi sul nostro cervello: negli ultimi anni però sembrerebbero essere interessate anche molte altre materie, tra cui l’economia, il marketing e le scienze sociali.
E’ proprio l’economia che infatti ha spinto sull’analisi e la ricerca di eventuali dinamiche cerebrali provocate dall’ aumento/diminuzione del proprio patrimonio economico.
L’economia si è unita quindi alla neuroscienza per dare una spiegazione ai nostri comportamenti, sia dal punto di vista degli investimenti economici, sia dal punto dei consumatori, ricordando che non è solo il cervello ad elaborare queste emozioni bensì tutto il sistema nervoso e ormonale.
Conseguenza diretta è la nascita delle neurofinanze, una materia relativamente nuova che si sforza nel comprendere le decisioni finanziarie che gli individui compiono, aggiungendo informazioni alla psicologia e alla neuroscienza sulle teorie tradizionali della finanza.
Gli specialisti avevano già dedotto ci fosse un ‘algoritmo’ e infatti, nel 1979 gli psicologi Tversky and Kahneman, avevano descritto tale comportamento, noto come Prospect Theory, italianizzato come l’avversione alla perdita, esprimendo che le persone tendono a subire maggiormente una perdita rispetto che un guadagno, avente stessa entità.
Il professore Eshraghi, considera quindi che le migliori decisioni finanziarie vengono prese nella maggior parte degli individui, seguendo un ragionamento lento, attento e analitico, anziché un ragionamento rapido, impulsivo e ‘a sentimento’. Tale discorso vale non solo per le decisioni finanziarie sul proprio patrimonio ma anche in previsione di investimenti immediati e futuri.